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Con l’Interpello 7-2018, il Ministero del Lavoro risponde ad un quesito avanzato dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri in merito “all’interpretazione dell’articolo 70, comma 2, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, concernente la base di calcolo del reddito della libera professionista ai fini della determinazione dell’indennità di maternità spettante alla stessa, relativamente all’ipotesi in cui essa rientri in Italia dopo aver svolto continuativamente un’attività lavorativa o aver conseguito un titolo di studio all’estero”.

 
Il Ministero del Lavoro risponde che:
“La risposta al quesito richiede l’analisi della ratio sottesa a due distinti riferimenti normativi: da un lato, il citato articolo 70 – inserito nel più generale quadro delle disposizioni di cui al testo unico n. 151/2001 – relative alla tutela della maternità e della paternità; dall’altro, le norme recanti incentivi fiscali sotto forma di minore imponibilità del reddito nei confronti dei cittadini dell’Unione europea che studiano, lavorano o che hanno conseguito una specializzazione post-lauream all’estero e che decidano di fare rientro in Italia. La prima disposizione (art. 70, d.lgs. n. 151/2001) riconosce alla madre libera professionista, iscritta ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza (e in caso di sua mancanza, al padre che sia libero professionista) un’indennità per i due mesi antecedenti e i tre successivi al parto.
In particolare, il comma 2 del predetto articolo, stabilendo la misura di tale indennità nella percentuale pari “all’ottanta per cento di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali […]” è evidentemente volta a garantire un adeguato grado di sostitutività dell’indennità rispetto al reddito durante il periodo “protetto”, al fine di evitare ogni trattamento meno favorevole collegato allo stato di gravidanza o di maternità, che si tradurrebbe inevitabilmente in una discriminazione vietata dall’articolo 3 della Costituzione.
Per altro verso, la legge n. 238/2010 stabilisce che i redditi di lavoro dipendente, i redditi d’impresa e quelli di lavoro autonomo percepiti dai cittadini dell’Unione europea che – dopo aver risieduto per almeno due anni in Italia ed aver lavorato o conseguito un titolo di studio all’estero – siano assunti o inizino un’attività autonoma in Italia, concorrano alla formazione della base imponibile nella misura, rispettivamente, del 20 per cento per le lavoratrici e del 30 per cento per i lavoratori (articolo 3, comma 1).
Allo stesso modo l’articolo 16, comma 1, del d.lgs. n. 147/2015 prevede che, a determinate condizioni, i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che vi trasferiscono la residenza, concorrano alla formazione del reddito complessivo limitatamente al cinquanta per cento del suo ammontare.
La ratio di tali disposizioni è ben sintetizzata dall’articolo 1, comma 1, della legge 238 citata, che individua come finalità dell’intervento normativo quella di “[…] contribuire allo sviluppo del Paese mediante la valorizzazione delle esperienze umane, culturali e professionali maturate dai cittadini dell’Unione europea che hanno risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia […].” e che decidano di farvi ritorno. A tale scopo, il legislatore ha previsto incentivi fiscali sotto forma di riduzione della base imponibile del reddito.
Pertanto, in relazione al quesito oggetto dell’interpello in esame, si ritiene che una professionista madre, che abbia i requisiti per accedere agli incentivi fiscali previsti dalle citate disposizioni, continui ad aver diritto alla parametrazione dell’indennità di maternità al “reddito pieno” percepito prima dell’inizio del periodo di cui all’articolo 70, comma 1, del decreto legislativo n. 151, proprio al fine di realizzare le tutele individuate dal legislatore nei confronti delle lavoratrici madri.
Tale reddito, effettivamente “percepito e denunciato” come previsto dal comma 2 del medesimo articolo 70, continua a costituire, peraltro, la base imponibile per il versamento dei contributi di previdenza obbligatoria, posto che la legge 30 dicembre 2010, n. 238, nonché il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, dispongono esclusivamente benefici fiscali. Diversamente, ove si considerasse quale base imponibile ai fini previdenziali il reddito “abbattuto” ai fini fiscali, la professionista che goda dei suddetti incentivi verrebbe a maturare, in corrispondenza, prestazioni pensionistiche proporzionalmente ridotte, senza in definitiva fruire di alcun beneficio.
Alla luce degli ulteriori elementi acquisiti per la valutazione del quesito in esame, la presente risposta sostituisce quella contenuta nell’interpello n. 4 del 29 maggio 2018.
Leggi: Interpello 7-2018